Maggio
2021

"Anche i pesci soffrono?"

Giorni fa, scorrendo un noto quotidiano, un titolo insolito ha richiamato la mia attenzione:
"Anche i pesci soffrono? Le risposte della scienza e le conseguenze per l'industria. Se da anni è oramai appurato che i pesci, come tutti gli animali, provano dolore, continua il dibattito sulla loro tutela negli allevamenti".
Poi continua: "I pesci sono in grado di provare dolore come tutti gli altri animali? La domanda, dalla risposta apparentemente ovvia, da mesi è al centro di un dibattito a livello Europeo tra istituzioni, produttori e associazioni animaliste, per decidere fino a che punto tutelare i diritti di benessere animale anche per i pesci." …
Nell'articolo, a firma di Francesco de Augustinis, leggo ancora: "Il dibattito europeo ruota intorno al riconoscimento dei pesci come esseri senzienti, quindi in grado di provare dolore e quindi alla tutela dei diritti di benessere animale. Questi animali possono trascorrere fino a due anni confinati  ad altissime densità in gabbie spoglie." …
«Il sovraffollamento è fonte di stress cronico per i pesci, deteriora la qualità dell’acqua e indebolisce il sistema immunitario degli animali» … al che mi sono venuti in mente certi allevamenti  e pure alcune riserve famose.
L'articolista prosegue con considerazioni sull'allevamento intensivo e modalità di "raccolta" del "prodotto" ma già queste poche frasi, anche se apparentemente prive di certezze, hanno suscitato in me in quanto pescatore e per giunta pescatore a mosca,   un momento di riflessione e di dubbio, laddove allevamenti  e "ripopolamenti" sono all'ordine del giorno, nonché il nostro pane quotidiano.
Dunque, parrebbe appurato che i pesci provino dolore, cosa che abbiamo spesso messo in dubbio o non preso in seria considerazione..
Facendoci  mente locale, pur essendo esseri a sangue freddo, questa eventualità  un pò l’ho sempre sospettata,  ma  sono stato allevato e cresciuto con la teoria  incontestata che pescando a mosca, e allamandoli su una parte cartilaginosa della bocca, i pesci non soffrono e dunque la pesca a mosca non  solo non è distruttiva, ma per certi aspetti è altamente  meritoria, specie con la pratica del No-kill.
Riflettendoci  e mettendomi nei  loro panni, o squame che siano, credo che  i nostri antagonisti quando  sono agganciati e si dimenano tentando di sfuggire alla forza che li trascina e al ferro che li punge, probabilmente non lo fanno solo per paura o istinto di sopravvivenza. Già per loro  il fatto di respirare aria è come per noi respirare acqua e sicuramente ne farebbero volentieri a meno.
Fatto sta che sono anni che pescando non ci faccio caso, è normale, automatico, fa parte del gioco, o dello sport, o dell'arte, come vogliamo chiamare questa nostra pesca a mosca, e addirittura più loro tirano e fuggono, più "mi diverto", anzi, in passato più ne prendevamo, più eravamo bravi.
Volendo azzardare una giustificazione, o una motivazione credibile per tale comportamento "sportivo", diciamo che certe cose si fanno anche per abitudine, senza riflettere o metterle in dubbio: così è scritto, così è da sempre e dunque così  è e s'ha da fare. Certo che se i pesci fossero nati leoni, probabilmente avremmo avuto un altro approccio.
Ora, scorrendo l’articolo, mi è venuto spontaneo mettere  in relazione certi fatti con alcune letture recenti, nonché certe esperienze.
Sono  anni  che non uccido un pesce e pratico il C&R convinto e contenuto;  come tanti uso ami senza ardiglione che sono meno dannosi, anzi l’ardiglione lo schiaccio perché la punta di questi è più corta e la curvatura più stretta dei barbless che a mio avviso, dato che devono ingegnarsi per  trattenere di più, mi sembrano più invasivi.
Inoltre, come usuale tattica di pesca, quando i pesci fanno i difficili e rifiutano tutto (specialmente i temoli) e  la mia attenzione è concentrata sul come "convincerli",  spesso diminuisco la taglia delle mosche o del finale.  Infatti, in certe situazioni, già il nylon del 12 risulta grosso e visibile o d'intralcio al libero fluire dalla mosca e per vedere una bollata devo calare al 10, (sotto mi rifiuto) il che rappresenta un rischio per la rottura del nylon con tutto quel che segue.  Diciamo che in tal modo adotto "una ricercatezza tecnica", ma…
Ma se, come è auspicabile, il pesce che abbocca è di taglia,  va da sé che il recupero non può essere immediato, né un tiro alla fune e quando finisce nel guadino è sempre piuttosto spompato. Allora  lo rianimo amorevolmente fino a che se ne guizza via, ma parrebbe che anche così, per l’accumulo di acido lattico, spesso ne muoia.
Personalmente non ho mai potuto verificare e accertarmi di tale eventualità (anche perché casomai  la corrente poi se lo porta) ma ogni tanto ho visto pesci morti sul fondo, preda  di pescatori precedenti, a prescindere dall’esca , o tecniche usate, o dalla loro manipolazione e dunque le cause mi rimangono ignote.
In ogni caso il mio piacere di pescare e allamare dei pesci pare produca dolore, il che, pensandoci,  non sarebbe neppure giustificato dal  mors tua vita mea, perché non pesco per necessità o fame, ma per hobby. In ultima analisi risulterebbe più "etico" uccidere un pesce per mangiarselo che non rilasciarlo per cavalleria sportiva e con la nobile finalità di salvaguardarlo. Questo è, almeno per me, un problema di lana caprina.
Per contro, il mio bisogno del pescare deriva da una smisurata passione consolidatasi, dall'infanzia ai capelli bianchi, e per certi aspetti rappresenta un "bisogno"  primario come amare la propria compagna, socializzare con gli amici, andare in vacanza,  o respirare aria pulita.
Allora parrebbe  presentarsi  un quesito amletico che porterebbe alla conclusione che anche il C&R è una pratica per niente ortodossa, a meno che- come dicono- non si peschi con mosche su ami non inferiori al 14 e finali del 18/20 o più a prescindere dal tipo di acque. Così facendo le possibilità di recupero sarebbero più sicure e dunque veloci, ma certamente le bollate molto più rare, tenuto conto che non sto parlando di torrenti, bensì di mosca secca in acque piatte dove delicatezza e artificiale adeguato sono spesso tassativi.
Ma anche così il risultato non cambierebbe e nel recupero, veloce o breve che fosse, il pesce sempre e comunque ne soffrirebbe. 
Povera bestia, dopo mesi stipato in vasche, in costante competizione per arrivare prima degli altri al mangime dalle ignote composizioni chimiche, una volta liberato si trova a dover sopravvivere nell'arena delle riserve guardandosi dalle mille insidie che non conosce,  mosche comprese. Il classico pesce fuor d'acqua. E' come se io fossi introdotto in un harem: alla prima mora che mi fa gli occhi dolci, abboccherei all'istante.
Ricapitolando.
Per anni abbiamo analizzato e perfezionato i modi più tecnici, etici ed efficaci per insidiare i nostri antagonisti. Abbiamo inventato migliaia di mosche di ogni foggia e misura per renderle più adescanti e convincenti agli occhi dei pinnuti; abbiamo migliorato le attrezzature e affinato ogni strategia, ivi inclusi nuovi e mirabolanti lanci per posare quella insidia nel punto giusto e convincere una trota o un temolo a farsi  fregare. Al che il nostro orgoglio di pescatori raggiunge la sua dose di gratificazione fino alla foto con la preda in primo piano dopo averla sganciata dall'uncino che, stressata e vinta, l'ha trascinata nel guadino siliconico che tuttavia ne protegge l'epidermide.
Dopo anni di impegno nel proselitismo per diffondere una tecnica altamente sportiva e rispettosa, com'è possibile che all'improvviso si sia diventati tutti dei barbari?
A quanto pare, l’alternativa per evitare sofferenze, l'ultima spiaggia etica della pesca,  sarebbe di tagliare la punta dell'amo, rinunciando così alla ferrata e al recupero, cosa che faccio sovente, ma diciamo la verità, solo quando i pesci dimostrano di abboccare con facilità e frequenza. Cosciente  e  responsabile passi, ma santo non ancora.
In teoria e in via puramente accademica, nel momento in cui il pesce abbocca alla mia innocua mosca castrata, di fatto avrei già vinto la sfida e il mio inganno avrebbe avuto il risultato desiderato insieme alla tattica di approccio. In tal modo, privando la mosca della sua insidia, il pesce non subisce alcuno stress, ma solo uno "scherzetto" innocente sfilandogli dalla bocca un ghiotto boccone e lasciandolo in palmo di naso.  Questo potrebbe anche essere un accorgimento per vendicarsi dei suoi mille rifiuti, insomma, un modo per buttarla in ridere: in fondo si va per fiumi anche per gioire. O no?!
Secoli di storia piscatoria buttati alle ortiche per un articolo di giornale, o una nuova moralità?
Orbene, mentre la nostra civiltà pare insensibile ai drammi di interi popoli, a guerre, carestie, calamità naturali, povertà e miseria e discrimina questi o quelli ecc. paradossalmente o giustamente è particolarmente attenta al mondo animale, uccellini, tartarughe, canini, gattini, perfino lupi, foraggiando floride  industrie per la loro vitaminica alimentazione e maquillage, ma i pesci, in quanto muti, nessuno li ha mai presi in considerazione, se non per impreziosire un acquario, per alimentarsene o giocarci come sto e stiamo facendo.  Anzi su di essi ci si accanisce in mille modi, deturpando  fiumi, inquinando  acque, immettendo pesci  strani se non dannosi, modificandone il DNA, promuovendo gare sulla loro pelle e chi più ne ha, più  ne metta. 
Di fatto anche molti allevamenti esistono solo per poter rimpinguarne certe acque e continuare a pescarli, alimentando svago ed affari. Alla luce di una nuova conoscenza/coscienza i vivai, da realtà anche meritevoli,  diventerebbero  tutti dei  lager?
C'è di che riflettere e nel frattempo sento che la soluzione andrebbe contro il mio istinto, probabilmente contro il mio essere e non so se ho la voglia o la forza per affrontare seriamente l'argomento e fare i conti con me stesso. Da qui un disagio apparentemente inestricabile.
La mia pesca non è solo pesci, -sempre meno-  ma ambiente, amicizie, libertà, bellezza, tecnica, passione, gioia, ma  a quanto parrebbe, adesso anche dolore.  Ma poi sarà vero? E se così fosse, per un' intera esistenza sono stato  davvero un torturatore  assassino?
Nel frattempo ho avuto l'ardire di trattare di etica della pesca a mosca , ma con questo nuovo interrogativo,  oggi qualche problema me lo pongo, combattuto come sono dalla passione di una vita, dalle abitudini, dall’egoismo del mio "innocente"  piacere, o dalla realtà, con principi che si modificano in base a nuove conoscenze e sensibilità che minano antiche certezze.
Sono stanco,  ed è sempre più difficile stare in equilibrio su questa trottola di mondo che galleggia nell’infinito!


Pesca il pesce che
ti interessa